lunedì 6 febbraio 2012

Lanterna gialla (28)

Film n. 28




Il terrore corre sul filo (“Sorry Wrong Number”)
di Anatole Litwak
con Barbra Stawyck, Burt Lancaster, Tina de Mola
  
Un abile esercizio di stile basato sul telefono. Un radiodramma di successo di soli 22 minuti, riadattato a film dopo l’acclamata settima messa in onda. E’ giocato su un aggrovigliato intreccio di flashback,  molto complicato,   fino al punto di incapsularne in uno un altro, quando il medico riferisce alla moglie il racconto fattogli dal marito di ciò che lei ha vissuto e perciò conosce. Non  un gioco pirandelliano di travisamenti della realtà, ma uno stratagemma tecnico per creare tensione trasmettendola  attraverso il filo del telefono, su cui "corre", se non proprio il terrore, una notevole suspense. Per lo spettatore il filo del telefono diventa l'ordito su cui si intesse la trama. 


Virtuosismo abile, sornione, che gioca con la tensione come con la morale e con la simpatia del pubblico, che viene spostata da un personaggio all'altro, pur senza modificare l'oggettività dei fatti narrati. Gioco tanto più abile in quanto sempre teso e avvincente proprio mentre rivela esplicitamente la corda (o piuttosto il filo...) con cui avvince. La critica non fu benevola con l’eccesso di flashback, ma si sa , la radio è altra cosa …
La trama in breve Leona, figlia di un magnate farmaceutico, soffre di una malattia psicosomatica che la costringe a letto. Sola nella sua grande casa, cerca di telefonare al marito Henry,  che per capriccio ha strappato a un'amica, elevandolo da umile commesso a vicepresidente dell'industria Cotterell. Per un errore del centralino, ascolta  una conversazione tra due individui che progettano un delitto per quella sera alle undici e un quarto. Ignorata dalla polizia, senza nessuno a cui rivolgersi in città, Leona tenta di ricostruire i movimenti del marito attraverso una serie di chiamate. …  di chiamata in chiamata si arriva alle undici e un quarto...


L'ossessiva presenza del telefono,  copre quasi totalmente l'arco di novanta minuti in cui si svolge la trama. Nella sceneggiatura, l'autrice Lucille Fletcher sfrutta appieno la possibilità di abbinare immagini al proprio testo radiofonico: prendono vita non solo le sequenze retrospettive, ma anche gli ambienti che fanno da sfondo al disperato scambio di chiamate. La storia, venata di amara ironia, fa anche riflettere.   Una serie di messaggi vengano trascurati o fraintesi. Il negare il feedback a un messaggio genera tensione.  L'impossibilità di comunicare resta l’enzima del  meccanismo che nel film, insieme a quel maledetto filo che attraversa le inquadrature, produce angoscia. Anche se fin dalle prime inquadrature la protagonista appare insopportabile (Barbara Stanwick è perfetta in parti di questo genere), alla fine lo spettatore non può fare a meno di identificarsi con lei, trascinato da un crescendo di suspense abilmente orchestrato.

Voto ***1/2/5 

(Film a seguire)

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