mercoledì 16 settembre 2015

En attendant Sarzana (III)

En attendant Sarzana
In attesa di incontrare gli amici di Sarzana nella splendida Sala Consiliare ho il piacere di pubblicare in anteprima (sarà distribuita ai presenti il 9 ottobre) questa recensione di Carmen Claps. Confesso che vi ho trovato osservazioni e focus di cui neanche io, l'autore, avevo consapevolezza.
Recensione a
Il Verso della Civetta
di Oscar Montani
a cura di
Carmen Claps
parte III



Altri versi di altre civette
(le foto sono solo a titolo esemplificativo)
Trattandosi di un lavoro di Oscar è inevitabile che la presenza femminile sia sostanziosa come quantità e fondamentale come importanza per l’economia della vicenda ed eccezionale per la qualità. Abbiamo già visto zia Ida e Luisa; ora qualche altra figura femminile importante. Intanto Giulia Conti: chi ha letto “La ragazza dello scambio” la conosce bene.


Vedova, ancora giovane, ma ormai ricca di esperienze umane, sociali, affettive, la maturità ha accresciuto il suo fascino. Proseguono i suoi incontri con Idamo, incontri decisamente sporadici, non programmati; il loro è un rapporto dal quale è escluso tacitamente e concordemente ogni coinvolgimento, affettivo, economico o di qualsiasi altro tipo. Giulia e Idamo sono due adulti che semplicemente si incontrano per il piacere di stare insieme, di rilassarsi, di dimenticare tutti i problemi, grandi e piccoli, che la vita quotidiana propone. E’ descritto a meraviglia, come in una sequenza cinematografica o ancora meglio in una scena teatrale, uno di questi incontri. Giulia riceve Idamo nella sua lussuosa abitazione vestita (o quasi svestita) in modo elegante, provocante, tutta profumata.
Diametralmente opposto è il rapporto di Idamo con Alda, la figlia dei mezzadri.




Anche Alda è una nostra vecchia conoscenza, perché compare già brevemente nel primo romanzo. Qui sta il fascino di una saga: allora era appena una ragazzina, adesso la ritroviamo magnificamente e prepotentemente sbocciata. Alda è un inno alla vita, è ottimismo e voglia di vivere, di godere gli aspetti belli e semplici dell’esistenza fino in fondo. In primis il sesso. Per lei il sesso è gioco, lo vive senza problemi, con leggerezza, senza porsi troppe domande. La vediamo abbordare Idamo in scenari completamente diversi dalla camera da letto di Giulia: scenari suggestivi, cioè la natura; Aldina non si prepara con profumi e vestaglie lussuose, se mai l’unica cosa che fa è dimenticarsi le mutandine e slacciarsi i bottoni della blusa. Quando finalmente riesce a soddisfare il suo desiderio di fare l’amore con il bel dottore, è in grado di regalargli ricordi dolcissimi e intensissimi. Alda è una personalità semplice, ma intelligente, arguta, che se la sa cavare a meraviglia anche nei momenti più critici e, d’altra parte, sa rendersi perfettamente conto che il suo rapporto con Idamo non ha prospettive: una volta soddisfatto il suo desiderio, anche se molto a malincuore, sa perfettamente farsi da parte. E’ descritta nella sua morbidità di fanciulla in fiore e in questo è l’esatto opposto di Lauretta, praticamente sua coetanea. Pensate che Lauretta, con due similitudini fantastiche, viene assimilata dall’autore a una gruccia o al fantoccio protagonista della giostra del saracino.


Cambiando radicalmente età e ambiente, ma questa è un ulteriore prova di quanto Oscar sappia descrivere le donne in tutte le loro sfaccettature, ecco suor Matilde. E’ la manipolatrice del romanzo, mastino o volpe, si chiede l’autore, insomma l’abile burattinaio che vuole avere in mano i fili di tutti e di tutto. Suor Lardosa, l’ha soprannominata Prospero, epiteto perfetto per rendere il suo enorme deretano, un ammasso di grasso tremolante che pare essere lì apposta come barriera ad ogni ingerenza che voglia scoprire i misteri insondabili della Chiesa.

Lo scioglimento
Memorabile la scena finale. Trovo significativo il fatto che le morti dell’edicolante e dell’anziana e il ritrovamento del cadavere della novizia avvengano in pieno giorno, sotto il sole cocente di quell’inizio d’estate e che, invece, la soluzione del caso di notte, in un luogo parecchio buio per non dire completamente buio. Trattandosi di Oscar, questo non ci stupisce perché lo conosciamo maestro di scene finali notturne. Tanto per fare solo pochi esempi penso ai finali de “L’oro degli aranci” di “Eikones” e a quelli di tanti racconti dedicati a Bertuccio.
Ancora una volta vediamo riuniti in azione, ognuno a fare scrupolosamente, precisamente la sua parte come in un ingranaggio perfetto, tutti gli amici di Idamo, in particolare vedrete l’importanza dell’elemento femminile.



La descrizione di questa notte terribile è da antologia, da mozzare il fiato. Il viale di cipressi è cupo. Il buio è squarciato da bagliori improvvisi che squarciano l’oscurità a illuminare un dettaglio e talora possono aiutare, talora ingannano. Prospero viene a trovarsi al centro di questa drammatica notte, anzi, mi sento quasi di dire che gli eventi, anche se a narrare è Idamo, sono visti attraverso i suoi occhi. Da una parte vivremo tutta la paura che un bambino può provare in certe situazioni; dall’altra, proprio perché è un bambino, vedremo che riesce a trasformare quella tragedia in un gioco nuovo, esaltante: “anche nei momenti più terribili i bambini sanno astrarsi dalla realtà”, osserva acutamente Idamo.

La scrittura
Da manuale e non mi riferisco solo all’aspetto puramente formale. Mi spiego. Oscar adotta ben tre tipi di scrittura, di stili, fate voi. La prima è quella riservata alla narrazione di Idamo, discorsiva, scorrevole, da affabulatore. In secondo luogo, il divulgatore che ci spiega, ci informa su tanti aspetti della vita, per esempio il gioco della trottola, quello delle palle, la trebbiatura, le leggi emanate dal regime. In questi brani la scrittura è più secca, rigorosa, diciamo pure da trattato scientifico, anche se qua e la inevitabilmente, emerge la partecipazione dell’autore. Infine i dialoghi. Oscar fa parlare i personaggi a seconda della propria estrazione sociale, della propria cultura e così ci regala momenti esilaranti.
Notevolissimi i riferimenti, gli omaggi che Oscar dissemina in grande quantità, talora clamorosamente palesi, talora più mimetizzati, comunque frequentissimi. A volte sono vere e proprie citazioni, a volte si tratta di ricreare un’atmosfera. In ordine rigorosamente sparso penso per esempio a un ricordo della supercazzola brematurata di “Amici miei”, quando Idamo si diverte a prendere in giro un presuntuoso, rozzo, ottuso maresciallo, ubriacandolo con uno sproloquio. Leggiamo anche un affettuoso omaggio a Enzo Iannacci quando Oscar scrive che qualcuno si dispone a “vedere di nascosto l’effetto che fa”. Non poteva mancare Manzoni, con un “la sciagurata sorrise”. Ancora Stanley Kubrik e il suo “Shining” con il timore espresso da Idamo che dei malviventi possano abbattere delle persiane a colpi d’ascia. E non manca una gustosa autocitazione di Bertuccio quando Oscar descrive la scena medievale delle scale di un antico palazzo.
Ancora, Oscar ci regala folgoranti aforismi brevissimi, o durante la narrazione, quindi per bocca di Idamo o durante i dialoghi, specie grazie a zia Ida. Sono riflessioni che ti lasciano di stucco.
Ancora la punteggiatura, inappuntabile, con il consolante, per me che sono una maniaca, uso della punteggiatura intermedia, cioè i due punti e punto e virgola.
Per concludere le similitudini, una cifra caratteristica della sua scrittura. Ce ne sono un’infinità, tutte eccezionali, ma io mi limito a riportarne una, quella che mi ha emozionato di più e che è vera poesia: “vidi, anzi, sentii serpeggiare, come aspidi, brividi di luce”.

Carmen Claps
(FINE)

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