En attendant Sarzana
In
attesa di incontrare gli amici di Sarzana nella splendida Sala
Consiliare ho il piacere di pubblicare in anteprima (sarà distribuita ai
presenti il 9 ottobre) questa recensione di Carmen Claps. Confesso che
vi ho trovato osservazioni e focus di cui neanche io, l'autore, avevo
consapevolezza.
Recensione a
Il Verso della Civetta
di Oscar Montani
a cura di
Carmen Claps
parte III
Altri versi di
altre civette
(le foto sono solo a titolo esemplificativo)
Trattandosi
di un lavoro di Oscar è inevitabile che la presenza femminile sia sostanziosa
come quantità e fondamentale come importanza per l’economia della vicenda ed
eccezionale per la qualità. Abbiamo già visto zia Ida e Luisa; ora qualche
altra figura femminile importante. Intanto Giulia Conti: chi ha letto “La
ragazza dello scambio” la conosce bene.
Vedova,
ancora giovane, ma ormai ricca di esperienze umane, sociali, affettive, la
maturità ha accresciuto il suo fascino. Proseguono i suoi incontri con Idamo,
incontri decisamente sporadici, non programmati; il loro è un rapporto dal
quale è escluso tacitamente e concordemente ogni coinvolgimento, affettivo,
economico o di qualsiasi altro tipo. Giulia e Idamo sono due adulti che
semplicemente si incontrano per il piacere di stare insieme, di rilassarsi, di
dimenticare tutti i problemi, grandi e piccoli, che la vita quotidiana propone.
E’ descritto a meraviglia, come in una sequenza cinematografica o ancora meglio
in una scena teatrale, uno di questi incontri. Giulia riceve Idamo nella sua
lussuosa abitazione vestita (o quasi svestita) in modo elegante, provocante,
tutta profumata.
Diametralmente
opposto è il rapporto di Idamo con Alda, la figlia dei mezzadri.
Anche
Alda è una nostra vecchia conoscenza, perché compare già brevemente nel primo
romanzo. Qui sta il fascino di una saga: allora era appena una ragazzina,
adesso la ritroviamo magnificamente e prepotentemente sbocciata. Alda è un inno
alla vita, è ottimismo e voglia di vivere, di godere gli aspetti belli e
semplici dell’esistenza fino in fondo. In primis il sesso. Per lei il sesso è
gioco, lo vive senza problemi, con leggerezza, senza porsi troppe domande. La
vediamo abbordare Idamo in scenari completamente diversi dalla camera da letto
di Giulia: scenari suggestivi, cioè la natura; Aldina non si prepara con
profumi e vestaglie lussuose, se mai l’unica cosa che fa è dimenticarsi le
mutandine e slacciarsi i bottoni della blusa. Quando finalmente riesce a
soddisfare il suo desiderio di fare l’amore con il bel dottore, è in grado di
regalargli ricordi dolcissimi e intensissimi. Alda è una personalità semplice,
ma intelligente, arguta, che se la sa cavare a meraviglia anche nei momenti più
critici e, d’altra parte, sa rendersi perfettamente conto che il suo rapporto
con Idamo non ha prospettive: una volta soddisfatto il suo desiderio, anche se
molto a malincuore, sa perfettamente farsi da parte. E’ descritta nella sua
morbidità di fanciulla in fiore e in questo è l’esatto opposto di Lauretta,
praticamente sua coetanea. Pensate che Lauretta, con due similitudini
fantastiche, viene assimilata dall’autore a una gruccia o al fantoccio
protagonista della giostra del saracino.
Cambiando
radicalmente età e ambiente, ma questa è un ulteriore prova di quanto Oscar
sappia descrivere le donne in tutte le loro sfaccettature, ecco suor Matilde.
E’ la manipolatrice del romanzo, mastino o volpe, si chiede l’autore, insomma
l’abile burattinaio che vuole avere in mano i fili di tutti e di tutto. Suor
Lardosa, l’ha soprannominata Prospero, epiteto perfetto per rendere il suo
enorme deretano, un ammasso di grasso tremolante che pare essere lì apposta
come barriera ad ogni ingerenza che voglia scoprire i misteri insondabili della
Chiesa.
Lo scioglimento
Memorabile
la scena finale. Trovo significativo il fatto che le morti dell’edicolante e
dell’anziana e il ritrovamento del cadavere della novizia avvengano in pieno
giorno, sotto il sole cocente di quell’inizio d’estate e che, invece, la
soluzione del caso di notte, in un luogo parecchio buio per non dire
completamente buio. Trattandosi di Oscar, questo non ci stupisce perché lo
conosciamo maestro di scene finali notturne. Tanto per fare solo pochi esempi
penso ai finali de “L’oro degli aranci” di “Eikones” e a quelli di tanti
racconti dedicati a Bertuccio.
Ancora
una volta vediamo riuniti in azione, ognuno a fare scrupolosamente,
precisamente la sua parte come in un ingranaggio perfetto, tutti gli amici di
Idamo, in particolare vedrete l’importanza dell’elemento femminile.
La descrizione di questa notte terribile è da antologia,
da mozzare il fiato. Il viale di cipressi è cupo. Il buio è squarciato da bagliori improvvisi che squarciano
l’oscurità a illuminare un dettaglio e talora possono aiutare, talora
ingannano. Prospero viene a trovarsi al centro di questa drammatica notte,
anzi, mi sento quasi di dire che gli eventi, anche se a narrare è Idamo, sono
visti attraverso i suoi occhi. Da una parte vivremo tutta la paura che un
bambino può provare in certe situazioni; dall’altra, proprio perché è un
bambino, vedremo che riesce a trasformare quella tragedia in un gioco nuovo,
esaltante: “anche nei momenti più terribili i bambini sanno astrarsi dalla
realtà”, osserva acutamente Idamo.
Da
manuale e non mi riferisco solo all’aspetto puramente formale. Mi spiego. Oscar
adotta ben tre tipi di scrittura, di stili, fate voi. La prima è quella
riservata alla narrazione di Idamo, discorsiva, scorrevole, da affabulatore. In
secondo luogo, il divulgatore che ci spiega, ci informa su tanti aspetti della
vita, per esempio il gioco della trottola, quello delle palle, la trebbiatura,
le leggi emanate dal regime. In questi brani la scrittura è più secca,
rigorosa, diciamo pure da trattato scientifico, anche se qua e la
inevitabilmente, emerge la partecipazione dell’autore. Infine i dialoghi. Oscar
fa parlare i personaggi a seconda della propria estrazione sociale, della
propria cultura e così ci regala momenti esilaranti.
Notevolissimi
i riferimenti, gli omaggi che Oscar dissemina in grande quantità, talora
clamorosamente palesi, talora più mimetizzati, comunque frequentissimi. A volte
sono vere e proprie citazioni, a volte si tratta di ricreare un’atmosfera. In
ordine rigorosamente sparso penso per esempio a un ricordo della supercazzola
brematurata di “Amici miei”, quando Idamo si diverte a prendere in giro un
presuntuoso, rozzo, ottuso maresciallo, ubriacandolo con uno sproloquio.
Leggiamo anche un affettuoso omaggio a Enzo Iannacci quando Oscar scrive che
qualcuno si dispone a “vedere di nascosto l’effetto che fa”. Non poteva mancare
Manzoni, con un “la sciagurata sorrise”. Ancora Stanley Kubrik e il suo
“Shining” con il timore espresso da Idamo che dei malviventi possano abbattere
delle persiane a colpi d’ascia. E non manca una gustosa autocitazione di
Bertuccio quando Oscar descrive la scena medievale delle scale di un antico
palazzo.
Ancora,
Oscar ci regala folgoranti aforismi brevissimi, o durante la narrazione, quindi
per bocca di Idamo o durante i dialoghi, specie grazie a zia Ida. Sono
riflessioni che ti lasciano di stucco.
Ancora
la punteggiatura, inappuntabile, con il consolante, per me che sono una
maniaca, uso della punteggiatura intermedia, cioè i due punti e punto e
virgola.
Per
concludere le similitudini, una cifra caratteristica della sua scrittura. Ce ne
sono un’infinità, tutte eccezionali, ma io mi limito a riportarne una, quella
che mi ha emozionato di più e che è vera poesia: “vidi, anzi, sentii
serpeggiare, come aspidi, brividi di luce”.
Carmen Claps
(FINE)
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