DONNE D’ARCANI MINORI
Una
riflessione, più che una recensione, sul romanzo noir di Oscar Montani e soprattutto
su Corto che da dieci anni sta al timone della Delta, veliero costruito dalla Perini
Navi.
di
Carmen Claps
IV
Chiudiamo
con le donne del titolo: quattro simboli. Ognuna di
esse è associata a uno dei semi dei tarocchi in base alle proprie
caratteristiche. Iniziamo da Amalia, la figlia di un magnate russo
naturalizzato svizzero.
Amalia
ha un particolare che la caratterizza: gli occhi verde giada striati da tigre.
Li usa molto abilmente a seconda della situazione, ora per chiedere, ora per
sedurre, ora per ordinare, ora per minacciare. E’ a tutti gli effetti una tigre,
infida, subdola, sempre in agguato, pronta a balzare sulla preda e, vista
l’estrazione sociale, la preda può essere che il denaro. Poi Christa, ex
modella per stilisti famosissimi, come Armani e Versace, quindi con un fisico
statuario anche se non è più ragazzina. Misteriosa, introversa, apparentemente
insensibile, refrattaria ad ogni emozione, fin dal suo ingresso in scena e per
tutto il romanzo è assimilata al ghiaccio, ad un vento gelido e infine
addirittura ad un iceberg. La sua voce: quando parla al telefono esce dalla
cornetta un soffio di Artico. Christa è proprio un iceberg contro cui è fatale
scontrarsi, compito di Corto è quello di sgretolarlo e l’autore descrive a
meraviglia il progressivo lavorio del suo detective, un lavoro ai fianchi, si
direbbe in linguaggio pugilistico, lungo, complesso, faticoso e anche
pericoloso, al termine del quale comunque avverrà lo scongelamento. Florry, ex
ballerina romena di lap dance, venuta in Italia come tante connazionali, per
sfuggire alla miseria. Ha sposato un impresario italiano, dai traffici talmente
tanto loschi che viene definito sempre “viscido”. È una donna dal fisico
appariscente, esplosivo ma ha una personalità molto più complessa di quello che
prevede la solita iconografia della donna dell’est venuta in Italia a cercar
fortuna. Sotto l’aspetto di bambolona sexy nasconde una mente astuta,
calcolatrice, doppiogiochista e anche un po’ diabolica. Infine Jannette, insegnante
all’università di Pisa, con la fissa dell’esoterismo. La sua casa è un museo
tetro, opprimente, inquietante, ma, d’altro canto, anche un po’ infantile e
ridicolo di paccottiglia pseudo antica relativa alla religione degli egizi.
Mania? Copertura? Finzione? C’è da tenere presente che in questa storia “nulla
è come sembra”, la lapidaria frase che si legge proprio a metà vicenda, ma che
sta perfettamente all’inizio come epigrafe e alla fine come suggello.
Tra
tante donne anche tanti uomini che sarebbero tutti degni di menzione, tutti
assolutamente rappresentativi della realtà contemporanea, ognuno con la sua
spicca carta identità, con le sue debolezze, con i suoi punti di forza, ognuno
essenziale alla vicenda. Del Bestia si è già detto. Per brevità intanto Berto,
colui che Corto ritiene l’unico degno di essere chiamato comandante, suo
maestro e consigliere: "Un Re al timone!".
Nel
romanzo compare pochissimo (due interventi di persona e una telefonata), eppure
è fondamentale e questo prova ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, la
grandezza dell’autore.
Del
resto anche nelle altre avventure di Corto non vediamo mai Berto concretamente
in azione: mentalità scientifica, più precisamente matematica quindi
meditativa, offre sempre un essenziale appoggio psicologico. La sua è un’azione
in qualche modo maieutica: spinge il protagonista a cercare dentro di sé la
strada per arrivare alla soluzione dei casi con i quali ha a che fare. Colloqui
molto scarni i loro, fatti anche di lunghi silenzi, quasi criptici. Per i
misteri di questo romanzo la dritta di Berto è quella di uscire da se stesso,
di non stare in mezzo a quegli specchi, di mettersi di lato in modo da poter
considerare gli eventi dall’esterno, con lucidità ed obiettività. Corto, che
conosce a fondo chi gli ha dato questo consiglio, né farà tesoro. Poi
l’assistente capo di polizia Ratti, ma viene chiamato così solo nei momenti
critici, dagli estranei o per sfotterlo. Per gli amici è sempre e soltanto Ginko.
Anche in questo caso il soprannome è geniale. Ginko è amico di Corto fin
dall’infanzia. Il loro rapporto è intenso e profondo, si capiscono al volo,
anche senza parlare. Già nelle storie precedenti lo abbiamo conosciuto con
un’indole tormentata “con il marchio
della tristezza perennemente impresso sul volto”. È tenace, testardo,
intuitivo, coraggioso; Corto lo definisce “sagace poliziotto”, ma questa
formula sa spesso di feroce presa in giro. Ginko ha un hobby o un vizio,
dipende dai punti di vista: in cerca di improbabili rivalse, si impelagata
spesso, con grande entusiasmo e altrettanto impegno, in quelle che Corto
definisce indagini parallele, in solitaria, di dubbia motivazione e discutibile
etica, spesso pericolose, comunque assolutamente illegali. Per questo (e per
altro) il suo status abituale è trovarsi nei casini: intuiamo che lo è stato
nel passato e che lo è ancor di più al momento, casini davvero grossi. Per
tutto questo Corto vive un momento davvero critico. Da osservare che
l’assistente capo Ratti è caratterizzato dalla voce che, talora per far teatro,
talora sinceramente gli esce chioccia tremula e altri aggettivi di questo tipo
e addirittura “non limpida”, perfetta metafora questa della non limpidezza del
suo intimo. Alla resa dei conti, comunque, il personaggio non risulta negativo,
anzi, desta comprensione, solidarietà e decisa simpatia.
Lo
scioglimento avviene in una scena magistrale, di notte, come spesso nei lavori
di Oscar. L’atmosfera sarebbe quanto mai distesa: ci troviamo a Forte dei Marmi,
nella villa del magnate russo durante una cena a base delle prelibatezze
preparate da Pino, il grande cuoco del veliero di corto. È buio e le tenebre
sono squarciate da luci soffuse, candele, faretti, che illuminano un solo
particolare, magari distorcendolo, mentre tutto il resto rimane nell’oscurità
più completa. Nonostante le apparenze tensione a 1000: da parte del gruppo di Corto,
che è impegnato a far emergere la verità e da parte dei coinvolti in quelle
morti che sentono benissimo che l’atmosfera conviviale prelude a qualcosa di
fatale per loro. Alla fine ne usciranno, ovviamente, tutti stremati. Mirabile
il ritmo della descrizione.
Per
quel che riguarda l’aspetto formale, l’autore con grande resa usa molto la
lingua toscana, recuperando preziosi vocaboli; anche la sintassi ricalca quella
della sua regione, per esempio la prima persona plurale declinata con il si
impersonale: si va invece di andiamo, si legge invece di leggiamo. Oscar cura
la parlata di ogni suo singolo personaggio, per esempio il linguaggio di
Cinzia, che è un magistrato, risulta elegante, raffinato,, correttissimo,
mentre quello del Bestia rispecchia a meraviglia il personaggio: becero,
triviale. In questo modo conferisce cittadinanza anche a quelle che vengono
definite parolacce, ma qui cadono proprio a proposito, al momento giusto e
addirittura risultano necessarie. Preziosi anche gli incisi che vengono a
commentare e a spiegare ciò che è narrato. Deliziose alcune domande che possono
essere definite retoriche, per esempio “ce la fai? Ce la facevo”. È Corto che
risponde più a se stesso che all’interlocutore, quindi riflette sulla
situazione, magari per darsi coraggio. Oscar è abilissimo a descrivere eventi
che si verificano nel volgere di pochi secondi con la tecnica del rallentatore,
fotogramma per fotogramma, questo senza far perdere al lettore il senso della
fulmineità dell’azione. Inoltre Corto, da buono skipper, racconta certi fatti
in modo sintetico proprio come si fa in un diario di bordo, avvincente proprio
perché estremamente conciso, spesso senza predicato verbale.
Contenuto
appassionante, scrittura coinvolgente: cosa si può chiedere di più ad un libro?
E come sono solita concludere: buona lettura.
Fine
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