giovedì 5 aprile 2018

Una tranquilla provincia criminale (V)


 Una tranquilla provincia criminale
rassegna di alcuni delitti  della "provincia liquida" italiana

 (V)


Varese (II

Piste e passi sbagliati nelle  indagini


Ipotesi, annunci, teorie, la stampa ci sguazza per mesi poi, visto che non si arriva da nessuna parte, si mira a una persona.


La stampa incalza gli inquirenti barcollano incerti. Le prime indagini si concentrarono su don Antonio Costabile, il sacerdote che coordinava il gruppo scout che frequentava Macchi, che secondo i giornali di allora aveva un alibi fragile e un rapporto molto stretto con la ragazza. Oltre a Costabile, le indagini coinvolsero anche altri tre sacerdoti. Così racconta il Corriere della Sera:
"I sospetti trovavano forza in due lettere. La prima l’avevano scoperta nella borsa di Lidia, era una lettera d’amore, divenne quasi una prova a carico: «… dimmi perché sorridi, perché il tuo sguardo è così dolce, luminoso e reale, perché sollevi gli occhi al cielo e perché io non posso che arrendermi alla realtà… non so se ci sarà un futuro insieme per noi. Amen ». La seconda lettera, anonima e mandata ai Macchi, era un delirio mistico («il corpo offeso, velo di tempio strappato, giace…») forse una confessione, e si chiudeva con un cerchio: un simbolo sacro o addirittura un’ostia, pensarono in tanti. L’inchiesta non andò lontano: su Agostino Abate (pm dell’inchiesta) si scatenarono attacchi pesanti, il fascicolo gli fu tolto e poi restituito, i sacerdoti furono tutti scagionati da una delle prime prove di DNA mai viste in Italia."
Anche Repubblica incalza: racconta   che sul corpo di Macchi fu trovato del “materiale organico” che venne confrontato da un laboratorio britannico col sangue dei sacerdoti interrogati, che però non trovò riscontri.

Passano anni
Il caso, andato nel dimenticatoio per anni,  si è riaprì nel 2013, quando la procura di Milano sospettò e poi accusò formalmente dell’omicidio un ex imbianchino del posto, Giuseppe Piccolomo.
Al momento dell’incriminazione Piccolomo si trovava già in carcere: nel 2011 era stato infatti condannato all’ergastolo per avere ucciso una pensionata di Cocquio, in provincia di Varese, nel 2009. Le prove a carico di Piccolomo erano sostanzialmente le testimonianze delle sue due figlie – che avevano raccontato che nel gennaio del 1987 il padre si era vantato di avere ucciso Macchi – e di un identikit molto simile a Piccolomo tracciato sulla base della testimonianza di quattro ragazze che in quegli anni avevano raccontato di essere state molestate nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio.

Dopo l’arresto, l’avvocato della famiglia Macchi ha richiesto che fossero effettuati dei nuovi esami al DNA per corroborare l’accusa contro Piccolomo. Le tracce di DNA trovate sul corpo di Macchi non risultarono compatibili con quelle di Piccolomo, che fu scagionato dalle accuse nell’agosto del 2015.

Gli sviluppi recenti
La lettera anonima arrivata alla famiglia Macchi pochi giorni dopo l’omicidio venne di nuovo a galla  dai documenti dell’indagine nel giugno del 2014 e venne diffusa da televisioni e giornali. Un’amica di Stefano Binda, un ex compagna di scuola di Macchi, riconobbe la grafia di Binda e ne parlò con la Procura di Milano nell’estate di quell’anno. Nei mesi successivi la Procura fece confrontare la grafia della lettera con quella di Binda, trovando riscontri positivi.




Inizia un'altra storia: viene arrestato Stefano Binda.


Le manette oscurate denunziano ipocrisia. Il processo è ancora in corso (da più di un anno). Per la prossima puntata bisognerà aspettare la sentenza.

 

Nessun commento:

Posta un commento