Una tranquilla provincia criminale
rassegna di alcuni delitti della "provincia liquida" italiana
(V)
Varese (II)
Piste e
passi sbagliati nelle indagini
Ipotesi, annunci, teorie, la stampa ci sguazza
per mesi poi, visto che non si arriva da nessuna parte, si mira a una persona.
La stampa incalza
gli inquirenti barcollano incerti. Le prime indagini si concentrarono su don Antonio
Costabile, il sacerdote che coordinava il gruppo scout che frequentava Macchi,
che secondo i giornali di allora aveva un alibi fragile e un rapporto molto
stretto con la ragazza. Oltre a Costabile, le indagini coinvolsero anche altri
tre sacerdoti. Così racconta il Corriere della Sera:
"I sospetti
trovavano forza in due lettere. La prima l’avevano scoperta nella borsa di
Lidia, era una lettera d’amore, divenne quasi una prova a carico: «… dimmi
perché sorridi, perché il tuo sguardo è così dolce, luminoso e reale, perché
sollevi gli occhi al cielo e perché io non posso che arrendermi alla realtà…
non so se ci sarà un futuro insieme per noi. Amen ». La seconda lettera,
anonima e mandata ai Macchi, era un delirio mistico («il corpo offeso, velo di
tempio strappato, giace…») forse una confessione, e si chiudeva con un cerchio:
un simbolo sacro o addirittura un’ostia, pensarono in tanti. L’inchiesta non
andò lontano: su Agostino Abate (pm dell’inchiesta) si scatenarono
attacchi pesanti, il fascicolo gli fu tolto e poi restituito, i sacerdoti
furono tutti scagionati da una delle prime prove di DNA mai viste in Italia."
Anche Repubblica incalza:
racconta che sul corpo di Macchi
fu trovato del “materiale organico” che venne confrontato da un
laboratorio britannico col sangue dei sacerdoti interrogati, che però non
trovò riscontri.
Passano anni
Il caso, andato nel dimenticatoio per anni, si è riaprì nel 2013, quando la procura di
Milano sospettò e poi accusò formalmente dell’omicidio un ex imbianchino del
posto, Giuseppe Piccolomo.
Al momento dell’incriminazione Piccolomo si trovava
già in carcere: nel 2011 era stato infatti condannato all’ergastolo per avere
ucciso una pensionata di Cocquio, in provincia di Varese, nel 2009. Le prove a
carico di Piccolomo erano sostanzialmente le testimonianze delle sue due figlie
– che avevano raccontato che nel gennaio del 1987 il padre si era vantato
di avere ucciso Macchi – e di un identikit molto simile a Piccolomo tracciato
sulla base della testimonianza di quattro ragazze che in quegli anni avevano
raccontato di essere state molestate nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio.
Dopo l’arresto, l’avvocato della
famiglia Macchi ha richiesto che fossero effettuati dei nuovi esami al DNA per
corroborare l’accusa contro Piccolomo. Le tracce di DNA trovate sul corpo di
Macchi non risultarono compatibili con quelle di Piccolomo, che fu scagionato
dalle accuse nell’agosto del 2015.
Gli sviluppi recenti
La lettera anonima
arrivata alla famiglia Macchi pochi giorni dopo l’omicidio venne di nuovo
a galla dai documenti dell’indagine nel
giugno del 2014 e venne diffusa da televisioni e giornali. Un’amica di Stefano
Binda, un ex compagna di scuola di Macchi, riconobbe la grafia di Binda e
ne parlò con la Procura di Milano nell’estate di quell’anno. Nei mesi
successivi la Procura fece confrontare la grafia della lettera con
quella di Binda, trovando riscontri positivi.
Inizia un'altra storia: viene arrestato Stefano Binda.
Le manette oscurate denunziano ipocrisia. Il processo è ancora in corso (da più di un anno). Per la prossima puntata bisognerà aspettare la sentenza.
Le manette oscurate denunziano ipocrisia. Il processo è ancora in corso (da più di un anno). Per la prossima puntata bisognerà aspettare la sentenza.
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